JESI – Da due anni pilone nella Seniores del Rugby Jesi ’70 e ora anche allenatore della mischia della Under 18. Enrico Santini, da Fano, è diventato una delle colonne del gruppo che aspirava a recitare un ruolo importante nel campionato di Serie B il cui avvio è stato, purtroppo, fermato dall’emergenza sanitaria.
Come sono questi mesi senza rugby giocato?
«Senti che manca qualcosa- spiega Santini- specie per chi, come me, si avvia verso la fine della carriera rugbistica in campo. Con questo stop si perde una occasione unica per ambire a raggiungere ulteriori soddisfazioni in quelli che sono gli ultimi anni da giocatore e per questo si sente ancora di più».
Sarebbe stata, la vostra, una stagione ambiziosa. Ed era iniziata con tanto entusiasmo.
«Saremmo partiti come sempre con l’obiettivo di fare meglio rispetto all’anno prima ma questa volta c’era qualcosa di più concreto e tangibile, provare a guardare alla parte alta della classifica e in prospettiva all’obiettivo di lottare per salire in serie A. Sarebbe il coronamento di un programma di crescita che è stato avviato ormai da diversi anni e che c’è da tentare di concretizzare. Avevamo fatto una bella preparazione, che in parte peraltro continua, pur nel rispetto di regole e distanziamenti. Ma resta forte e inappagata la voglia di mostrare il nostro valore sul campo».
Dopo l’esperienza al Pesaro Rugby, come sei approdato a Jesi?
«Sono arrivato qui dopo un periodo in cui avevo un po’ interrotto. Conoscevo la società, che è stata sempre per me una realtà vicina con cui era capitato di condividere anche il campionato, conoscevo l’ambiente. Un mio amico si stava allenando a Jesi, mi ha detto di provare e l’ho fatto. Qui mi sono subito trovato bene e ho presto avuto conferma delle sensazioni e conoscenze positive che avevo. Ora sono uno degli esperti del gruppo in una squadra dalla giovane età media, a contatto con la quale ho ritrovato tutta la voglia»
Da quest’anno sei anche allenatore nella Under 18: che nuovo modo di vivere il rugby è?
«Si tratta della mia primissima esperienza da allenatore, anche se in campo da giocatore ho sempre dato consigli ai più giovani. Ma in questa veste è la prima volta ed è per ora entusiasmante. Ho trovato ragazzi responsabili e rispettosi, non è scontato. Hanno voglia di imparare, orecchie aperte e bocche chiuse, una predisposizione al lavoro importante. Una esperienza che credo sarà il mio futuro nel rugby»
Il messaggio ai più giovani: cosa serve per essere un buon giocatore di mischia?
«La parola d’ordine per chi sceglie la maglia dalla 1 alla 8 è “sacrificio”. Non sempre si vedono ripagati quelli che sono stati i propri sforzi nel punteggio finale ma l’orgoglio di finire una partita dopo aver dato il 101%, e di sapere di aver messo la propria squadra in condizione di poter avanzare e segnare punti, è la maggior soddisfazione».