JESI – «Omaggiare le balette? Un bel campo per la pallacorda. Ce ne sono tanti all’estero, penso all’Inghilterra. In Italia, neppure uno». Così Gianni Clerici, icona del giornalismo sportivo e grande raccontatore del tennis e della sua storia, nella Galleria degli Stucchi di Palazzo Pianetti di Jesi, davanti alla platea riunita a seguire la presentazione de Il tennis nell’arte, libro che lo stesso Clerici ha scritto con Milena Naldi.
Poco lontane le “balette”, le 9 palline seicentesche di cuoio e capelli utilizzate appunto per il gioco della pallacorda, che anticipò di qualche secolo quello del tennis, ritrovate a Jesi, sul fondo del pozzo di Palazzo della Signoria, negli anni ’30 del Novecento. Furono dimenticate lì per decenni, prima che l’allora direttrice della Pinacoteca Civica, Loretta Mozzoni, si ricordasse d’averle viste leggendo, su Repubblica, un articolo in cui proprio Gianni Clerici raccontava il ritrovamento di altre sei “balette” al Palazzo Tè di Mantova. L’incontro di Palazzo Pianetti, moderato da Carla Saveri, il cui impegno è riuscito a riportare Clerici a Jesi dove era già stato nel 2014, è anche servito a rilanciare l’iniziativa di un “Club delle Balette”, di cui faranno parte le città dove sono state ritrovate queste antenate delle palline da tennis, ad esempio Jesi, Mantova e Urbino.
L’incontro con l’88enne Clerici e con Milena Naldi ha condotto i presenti in una cavalcata fra le testimonianze artistiche nei secoli del tennis e dei suoi antenati. «Come possano dire gli inglesi, che di balette non ne hanno neanche una, di aver inventato il tennis nel 1874, è quanto meno particolare» ha detto il grande giornalista. Ai tanti nostalgici della “sua” maniera di raccontare in tv il tennis, nelle memorabili cronache da tutto il mondo in coppia con Rino Tommasi («Oggi mio figlio che lo segue in tv sa tutto del gesto tecnico ma non conosce la poesia del tennis» ha detto uno dei presenti in sala), Clerici ha risposto: «Noi a quei tempi vivevamo lo stesso mondo dei giocatori, degli arbitri, dei protagonisti. Oggi non più. Noi andavamo a cena con gli arbitri, oggi è impensabile. Chi commenta oggi lo fa da Milano, guardando in tv le stesse inquadrature che vede lo spettatore a casa, noi avevamo il privilegio di essere sul posto. Eravamo tutti parte di uno stesso mondo, allora».